Capi e piedi

L’altra mattina studente furbetto sostava sulla porta mentre entravo e mi ha apostrofata con un ‘Salve capo’ in tedesco.

Ma che ti sei rincoglionito?! (vi invio solo il senso delle mie parole :-))

Casomai salutami con un ‘Capitano mio capitano!’ Qualcosa stile attimo fuggente. Anche se quel film non mi piace affatto.

In un attimo mezza classe era sulle sedie.

Ok… vi siete rincoglioniti davvero… adesso scendete

Ma, prof, perché non le piace questo film?

Prima scendete e poi vi dico… Ecco bravi…seduti che è meglio…
Non mi piace perché quel prof  toglie ai suoi studenti tutte le certezze della loro vita e non gli indica una strada da seguire ma solo dei sogni.

Ma no prof… la strada è quello che uno ha nel cuore…quello che uno desidera fare…
Non le sembra giusto che uno faccio solo quello che vuole?

Insomma chiacchiera chiacchiera (dieci minuti in tutto) siamo arrivati alla considerazione che se uno va in certe camminate in montagna dove sono necessari gli scarponi da rocce non è affatto più libero se può mettersi le scarpette da ginnastica che desidera, magari quelle di tele e con la suola liscia che vanno adesso, solo più stupido.
Almeno questo era quello che sostenevo io.
Credo che studente furbetto sia ancora dell’idea che uno che va sulle rocce o sulle ferrate con le scarpette a suola liscia che vuole è più libero e più realizzato di uno che obbedisce a qualcuno e si mette gli scarponi.

Alla fine dei dieci minuti la mia studentessadagliocchidimandorla mi chiede: prof… ma che c’entrano le scarpe?!

I Pokemon ci fanno un baffo…

Ogni anno, in ogni classe, ogni volta che vuoi farlo succedere…

Prof: Studentesimpaticoforse mi fai vedere i compiti che dovevi fare per oggi?

Stud. No… non ce l’ho

Prof Cioè…?

Non li ho fatti.

Ahhhh. (E’ efficace una pausa di silenzio) Perché?

Perché?!! Studentesimpaticoforse si trasforma in studentesfuggenteincompreso

Sì… perché non hai fatto i compiti che avevo assegnato per oggi?
(voce ferma e decisa, sillabe scandite)

Non voglio trovare scuse…
studentesfuggenteincompreso si trasforma in studentesincerochenoncercascuse (ma la trasformazione è di breve durata)

Ma io non voglio che tu cerchi scuse… voglio sapere il motivo vero per cui non hai fatto i compiti.

…. (silenzio) Studentesincerochenoncercascuse si trasforma in studenteattonitochenoncapiscedovelaprofvuoleparare

Dunque…provo a spiegarmi… se tu hai deciso di non fare i compiti ci sarà stato un motivo: esempio: ho di meglio da fare, non ritengo che mi siano utili, credo di fare bene lo stesso il prossimo compito.

Prof..che ne so… io non li ho fatti e basta…

Ahhhh… capisco… non li hai fatti e basta. E io che credevo che tu avessi un motivo per fare o non fare le cose…  Non immagino che un gatto abbia un motivo per muoversi da qui a lì…

Non mi andava di farli. Ecco arrivare studenterisentito…

Se il motivo è ciò che mi va allora il motivo è molto simile a quello che ha anche un gatto: lui si muove solo per istinto, tu hai la possibilità di scegliere ciò che ti conviene davvero.

E qui lo scenario cambia di anno in anno di classe in classe da studente a studente…
 
A entra in scena e fa da padrone studenterisentitoeoffeso:  Lei non può darmi di gatto… lo sa!?

B arriva dalle profondità delle viscere studentedomandeesistenziali: ma quale può mai essere un motivo valido per cui studiare? non mi basta pensare al diploma…

C ecco invece far capolino lo studentedileimifido: prof… ma come si fa a non lasciarsi dominare dall’istinto?

D lo studenteleipuòdirmiquelchevuoletantoamechemenefrega sospira. eh, si prof…che ci vuol fare… crescerò prima o poi…

E salta fuori inaspettato lo studenteleièlaprofmiglioredelmondo: davvero prof ha ragione… glieli faccio tutti per domani. Anzi me ne dia qualcuno in più.

F e che dire dello studentesguardochetifissa: prof…lo sa che lei mi dice delle cose alle quali non avevo mai pensato… e che potrebbero anche essere vere…?

G infine lo studentesintonizzatosuunaltrarete: prof… però se vuole ho qelli che ci aveva assegnato per il 12 dicembre… o quelli di economia aziendale…

H ultimissimo lo studentecifaociè: 
Prof glielo volevo dire che non avevo capito quello che lei ha spiegato due mesi fa… ma lei non mi ha dato tempo…

I lo studente che non può mancare è lo studentenegheròfinoallamortemalacolpaladoaqualcunaltro: compiti…  quali compiti?! Io non so niente di compiti assegnati per le vacanze

E tu,  che studente sei?

Tracolla

Era l’epoca delle occupazioni, delle camicie della polo, dei fuseax  dentro gli scarponcini. Profemate credeva ancora di possedere il mondo, anche se aveva smesso da qualche anno il completo rosso arancio. Le sue figlie erano ancora piccole e gli studenti di quarta grandi.  I ragazzi si fermavano volentieri a chiacchierare all’uscita della scuola: li trovavi seduti sui gradini o fermi accanto alle macchine a discutere di tutto e di tutti. E spesso ti trascinavano nelle loro discussioni.

Il primo giorno che entrai in quella classe notai solo una tracolla di stoffa colorata e uno sguardo che mi sfidava. Stava ripetendo la quarta ma quello sguardo era vispo, ironico, intelligente.
Si dichiarò assolutamente non collaborativo. E mantenne la sua parola per tutto il tempo in cui sono stata la sua profe. Ma solo per la matematica. Si era creato un facile giochetto nel quale ero diventata super allenata. Lui mi ascoltava ma non per capire la matematica ma solo per individuare un doppio senso in quello che dicevo. Quell’anno ho scoperto che quasi ogni frase può avere un doppio senso . Ma era garbato anche in questo: solo un sorriso lasciava trapelare il pensiero. La cosa peggiore è quando andavo in prima e mi veniva da sorridere da sola come una scema.

Non gli rendevo la vita facile ma eravamo amici leali. Discutevamo un giorno su che cosa avrebbero fatto da grandi: “Io faccio i soldi, prof.  Stia tranquilla.” da come lo disse ci credetti. Poi seppi che lavorava in un forno, a Migliana. E pensai che forse mi ero sbagliata.

Adesso non so se ha fatto i soldi però qualcosa ha fatto.

Non sono una strega

Camminavo accanto al mio collega d’italiano del biennio. Alto, magro, portava un paio di bretelle rosse che lo rendevano unico: un artista, ma attento ai ragazzi, preciso nelle valutazioni, rigoroso nella preparazione delle lezioni.
Parlavamo spesso dei nostri studenti.

-Senti… io credo che studentessadailunghicapellineri voglia smettere di venire a scuola…

-Ma che dici?! – mi fa lui – ha tutte sufficienze, è brava in quasi in tutte le materie, viene sempre a scuola e il suo comportamento è corretto.

-E’ vero, ma a sembra proprio che abbia questa intenzione. Proviamo a parlarle

-Ma da cosa lo deduci?

-Non so… sguardi, sensazioni…

Mi guarda come se fossi matta e gli stessi parlando di apparizioni di extraterrestri in Piazza san Marco. Arriviamo al bar e mi offre il caffè.

Dopo una settimana studentessadailunghicapellineri  è assente e ci accorgiamo in breve che ha già ritirato tutto dalla scuola.

O sei una strega o porti sculo, fu il commento del collega artista.

Da allora profemate ha capito due cose:
primo, che non serve a niente aver ragione se non riesci a convincere gli altri che ce l’hai,
secondo, che,
se non riesci a dare prove di quel che dici, è meglio tacere.

Ha visto profe? L'ho fottuto!

Non era un tipico ragazzotto con atteggiamento da bullo e aria di sfida. Era una vocina femminile appartenente ad un’esile fanciullina con i capelli lunghi e ricci appuntati dietro in modo da lasciare scoperta la fronte, con annesso apparecchio per i denti, giusto per l’età.
In realtà la profe era distratta, pensava ancora alla parola soddisfacimento, al suo significato, alla differenza con soddisfazione. Altissimi livelli per la scuola d’oggi. Era stata proprio la fanciullina a dire che esisteva e a difenderla ad oltranza contro un compagno. Aveva vinto, in effetti.
Dunque, io non ascoltavo. Strano ma vero. Spesso mi sembra di sentire anche i loro pensieri.

-L’ho battuto, hai detto vero?- tentavano di salvarla i compagni.

 

-No, no! L’ho proprio fottuto!  – gridava felice la fanciullina.

 

E allora, anche la profe distratta ha capito. Avevo un vocabolario tra le mani, gliel’ho portato e le ho detto:

 

Leggi il significato del verbo che hai usato. Ad alta voce.

 

-Che ci vuole?  (scartabellìo) ATTO DEL POSSEDERE…(silenzio)… no… proofeeee… mica lo sapevo…

 

Vi risparmio il seguito della discussione. Vi dico solo che siamo arrivati fino alla differenza tra sadomaso , sadico e masochista… e qui mi hanno fatto lezione loro (non sono poi così ignoranti del lessico questi ragazzi!…).

Ho terminato dicendo che bisogna stare attenti ai termini che si usano… insomma, certe parole che hanno un certo uso comune sono in realtà parolacce che non si dicono in certi contesti.

 

Ma la storia non finisce qui.

 

Vado in quinta. Compito in classe e giornata di giornali. La cattedra ne è invasa. Leggo, sfoglio, guardo. Su La Nazione, il quotidiano di Firenze, a tutta pagina c’è un articolo su un noto politico. Nel sottotitolo, in grande il verbo incriminato. Nelle prime dieci righe del primo trafiletto lo stesso verbo era declinato in tutte le persone e i modi: fotti, fottere, fottuto,  hanno fottuto… mancava forse solo il passato remoto.

Ho chiuso il giornale. Dovrò chiedere scusa alla fanciullina. Meno male che si fanno leggere i giornali in classe. Altrimenti certi aggiornamenti chi li darebbe, a noi… poveri profe.


pioggia

Pioggia fuori. Dentro anche. I miei studenti a casa, io pure.Non mi fanno più ridere i miei studenti: mi fanno rabbia, tenerezza, simpatia. Ma neanche una risata. Li vedo tutti fermi immobili e mi chiedo se il pensiero dentro di loro si muove. Solo qualche paio di occhi sono vivi: ma solo gli occhi.
Guardo il mio studente Arrivosempreinritardotanto e mi viene voglia di chiedergli: ‘Scusa sai… ma io parlo con un uomo o con un mollusco?" E lo faccio. Anche per i suoi occhi. Lui mi guarda, balbetta, lo sento chiedere al compagno: ‘Mollusco?’ ‘Sì, senza colonna vertebrale’ (e meno male…) E giù, gli scarico addosso una tiritera sulla capacità di azioni di un certo tenore che ci distingue dai molluschi, sulla volontà che ci distingue dai cani… e lui mi fa: ‘Ma prof…non è una questione di volontà … è…che ho sonno…’
Basta, ci rinuncio. Mi viene voglia di abbracciarlo (e non lo faccio) perché quando non si può niente almeno lasciatemi abbracciare la loro schiettezza, la loro mancanza di rispetto, la loro mancanza di volontà, la loro mancanza di desideri, la loro mancanza di entusiasmo, la loro mancanza di interesse… E in un lampo mi viene in mente che è tutta roba mia.

Abbracci e baci

Oggi il mio studenteconpiùpiercingditutti mi aspettava fuori dalla porta dell’aula, nel corridoio, proprio lì, davanti alla macchinetta che distribuisce merendine.

"Profe…mi abbraccia?" mi ha detto da dietro i suoi capelli asimmetrici, tinteggiati di biondo e di blu.

Io lo devo aver guardato un po’ storto, perchè il suo sguardo si è fatto triste e mi ha detto: " Davvero, profe, ne ho bisogno…: mi abbraccia? Ho bisogno di affetto"

E io ho abbracciato quello stralunato ragazzone vestito di nero, pensando, checavolo, che non scherzava mica… Magari lo avesse fatto per ridere poi un po’ della profe, magari avesse cercato di perdere tempo prima di far lezione… No, no: lui aveva proprio bisogno di affetto. E mi sono sentita impotente e un po’ stupida perchè che volete che faccia un abbraccio , perchè a 19 anni non si può mica buttarli per l’aria e coccolarli, e ridere guardandoli negli occhi che non possono fare a meno di ridere anche loro… A 19 anni devi guardarli mentre soffrono e sentirti impotente.

Poi, mentre andavamo in laboratorio di informatica, mi ha detto piano: " Profe, le posso parlare?" E mi ha confessato la sua paura, lo stress del venire a scuola, le troppe cose da fare, la paura di non farcela, e tutto e niente. Io gli ho detto tre cose sentendomi ancora più inutile di prima.

Ma c’è anche domani.

gambe di legno

Era tanto tempo fa. Non indossavo più il completo rosso-arancio ma ero ancora una prof arrogante, forse non fuori ma dentro sì. I miei figli ancora non uscivano da soli ed io pensavo, non so come, non so perchè, che sarebbero diventati migliori di tutti i miei studenti. Presi una nuova classe, anzi me la dettero: una quarta che nessuno voleva, che creava rogne, che chiedeva mentre spiegavi: ‘ma chi glielo dice a lei?’, che faceva piangere la prof di religione, che aveva un paio di studenti di sesso maschile che si erano rifatti il naso, portavano i capelli lunghi, facevano le sfilate, erano rappresentanti d’istituto e credevano di possedere il mondo.

Non so quando discussi in quella quarta. Ricordo, però, che non piansi mai, anzi. In quinta mi accorsi di aver conquistato la loro stima e il loro rispetto. Intendiamoci, continuavano a fare quello che volevano ma lasciavano che io facessi quello che era giusto. E così hanno preso vari 2 o 3 alla fine della quinta senza battere ciglio perchè avevano voluto fare i furbi ma io ero stata più furba di loro (a volte senza saperlo!) .

Erano particolari ma svegli ed intelligenti, l’esame faceva ancora paura ed era uno stimolo a dare il meglio di sé: fecero tutti molto bene lo scritto di matematica, a parte lo studentebelloebiondo che, quando la mia collega ormai pensionata cercò di suggerire bisbigliando: ‘Fai il simplesso!’ , la guardò malissimo, forse pensando ad una proposta erotica.

Fecero una cena di quinta tra le più orribili che ricordi: bevevano, andavano in bagno a vomitare per bere ancora, raccontavano che in gita erano andati con questa e con quella (e non erano compagne…)

In mezzo a tutto questo marasma, ad un certo punto, un ragazzo si mette proprio di fronte a me a tavola, mi guarda dritto  negli occhi ( in realtà i suoi erano parecchio straniti…)  e mi dice: ‘ Prof.. ma a lei…che gliene importa se noi studiamo  o no, se impariamo o no? In fondo, lo stipendio glielo danno uguale. perchè se la prende tanto?’

Io rimasi un po’ perplessa, guardando i suoi occhi straniti. E anche quando decisi di accettare come vera la domanda e quindi meritevole di risposta, non seppi, per un attimo, che dire. Forse fu in quel momento che me la posi per la prima volta.

E mi risposi così:

‘Pensa ad un falegname che deve fare delle gambe per un tavolo. Lui le vuole fare belle, ha gli strumenti e la capacità per farlo. Lo pagano lo stesso se le fa brutte ma lui si diverte di più ed è più contento se le fa belle. Se gli portano però del legno poco buono lui non può fare quello che vorrebbe: le può fare solo dritte e poco forti: lo pagano lo stesso e lui le fa… ma si intristisce. Ma non può certo arrabbiarsi col legno che non è buono! Ecco fa’ conto che io sia il falegname e voi il legno buono che decide di marcire…’

Io lo so che questa cosa l’ho già raccontata, ma volevo ripensarci oggi e così l’ho riscritta, perchè, insomma, non voglio intristirmi a fare gambe dritte sapendo che non reggeranno neanche la più piccola pressione… 

Almeno voglio arrabbiarmi un po’ prima di arrendermi!    

Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
                                             
Sono passati tanti anni, era una classe seconda. Vedo i volti degli studenti sfocati, non li riconosco. Un solo volto vedo con chiarezza e di quel volto ricordo anche molti particolari… i capelli biondi, la corporatura robusta, il trucco pesante, nero di rimmel e eyeliner. Aveva un paio di anni in più dei suoi compagni. Ricordo le sue urla, il suo volto sfigurato e pallidissimo, le sue mani che tremavano. Ricordo lei che si alza in piedi e urla, fortissimo, contro tutti e contro nessuno: forse solo contro se stessa. Ricordo il resto della classe in un silenzio sbigottito. Si apre la porta ed entra il solito custode che, probabilmente , teme per la mia incolumità. Ricordo che io lo tranquillizzo e lo mando a prendere un bicchiere d’acqua. Rivedo il bicchiere d’acqua nelle sue mani tremanti. Rivedo nei suoi occhi la paura della morte, l’impotenza dell’uomo di fronte alla fine della vita, la rabbia davanti ad un dolore che non si capisce, ad una lontananza disumana, la voglia di scappare via, di fuggire, di andare dove si può far finta che la morte non esiste. Non ricordo che cosa aveva scatenato tutto questo: forse il solito spiritosone che risponde "E’ morto" alla mia richiesta di informazione su uno studente assente, o l’osservazione di un compagno "Ma era vecchio…" di fronte alla sua comunicazione della morte di un nonno. Davvero…non ricordo.
Ricordo invece, molto bene, che non sapevo che dire. Non si sa cosa dire di fronte alla morte. Non ci sono parole umane adeguate. Ma non si poteva far finta di niente, non potevo lasciare un così grande dolore senza un tentativo di condivisione.
Chiamai un amico, un caro amico, un po’ psicologo, un po’ insegnante di religione e passammo un’ora con lui, solo i ragazzi che lo volevano. Rimasero tutti. Ricordo una sola cosa di quello che lui disse: "La domanda sulla morte è la domanda sulla vita: non possiamo chiederci perchè c’è la morte senza chiedersi anche perchè c’è la vita. La domanda sulla morte, quella che fa male al cuore, deve diventare un impegno perchè la vita abbia un significato"

Una persona

Il primo giorno della prima classe, durante la prima ora di lezione l’ho guardato dritto negli occhi:

“Ti concedo una sola battuta al giorno. E che sia carina”

Portava sempre il solito cappellino stropicciato, era alto e grosso, con la faccia rotonda da bambino. Gli occhi, piccoli e vispi, si nascondevano dietro gli occhiali. Non studiava, ovviamente, e faceva di tutto per far credere al mondo che era  stupido. Io invece non lo credevo: merito della sua battuta giornaliera sempre divertente e pertinente, merito della matematica che lui aveva la capacità di capire al volo. Sarà per questo che io alla fine della seconda ho lottato perché bocciasse. Aveva tre gravi insufficienze in materie importanti e le sufficienze che aveva erano tutte, come dire, frutto dell’incapacità dei miei colleghi di dare voti insufficienti. Non era un regalo quello che gli facevamo. Credevo troppo in lui per mandarlo al triennio in quelle condizioni. Ma fui sconfitta e fu promosso con tre debiti. Sarò strega o porterò sculo… fatto sta che l’anno successivo i nuovi professori non lo ammisero alla quarta (si dice così adesso).

Me lo ritrovai così  nella mia terza, col solito cappellino, il corpo sempre ingombrante. Gli altri lo guardavano come si guarda di solito un ripetente, cercando di capire se è uno stupido o un figo. E lui non aveva certo l’aria del fighetto.

Dopo pochi mesi smise di venire a scuola.

Venne a trovarmi l’anno successivo, verso gennaio. Il caso volle che fossi proprio nella mia quarta, la sua ex classe. Lui entrò sorridente e mi baciò. Aveva qualcosa di strano ma non capivo cosa. Gli do uno sguardo. “Sei dimagrito: stai bene!” gli dico. Lo guardo bene negli occhi: “Ehi, ma sei finalmente diventato grande!” La classe rimane silenziosa, quasi assente: in fondo per loro era stato uno di quei compagni occasionali che si dimenticano presto.

“ Cosa fai di bello adesso?” chiedo “Lavori?”

Lui mi guarda e fa: “Profe…lei non sa niente.”

No, io non lo sapevo che lui dopo un tuffo stupido dalla spiaggia, fatto altre mille volte, era rimasto per due mesi paralizzato senza sapere se avrebbe ripreso a muoversi o no; non lo sapevo che i mesi precedenti erano stati per lui mesi di lavoro e di fatica per rimettere in moto il suo corpo e che ancora non erano finiti, e… no, non lo avevo visto che il braccio destro era ancora fermo; e neanche quella brutta cicatrice dietro la nuca avevo notato. Lui raccontava quello che aveva provato, con l’aria serena che aveva sempre avuto, ma con una maturità nello sguardo che, quella si, avevo già notato.

Io per un attimo rimasi senza fiato e poi dissi quelle due o tre cose che riuscii a tirare fuori dal marasma di sensazioni che avevo dentro. Guardavo la classe che appariva come prima, assente quasi estranea. “Ma che razza di persone sono che non provano niente di fronte ad un compagno che racconta certe cose?” ricordo che pensai. Ma quando se ne andò, il ragazzino moro dell’ultima fila che sembrava si facesse gli affari suoi, mi chiese bianco come un cencio,di andare in bagno perché aveva mal di stomaco. Anche se lui ha sempre negato che questo avesse avuto qualcosa a che fare con la visita dell’ex compagno, da allora io so che le reazioni di fronte al dolore o alle emozioni sono quel che sono e non si possono capire né tanto meno giudicare.

Ecco, questa è la persona che mi ha fatto venire in mente la locandina di ieri. Da quel giorno quella persona non l’ho rivista più e non so più niente di lui.

 

Non è una storia triste, è solo una storia. Storia di prof.